
- LTeM: Prima di tutto, cos’è per te la poesia?
Elisabetta: La sintesi, un accordo tra le parti.
- LTeM: Che cosa occorre per diventare un poeta?
Elisabetta: Non credo esista una risposta sintetica al tema. Dal mio filtro rispondo per sottrazione, o meglio, cosa non occorre per essere poeti: mettere in circolo un pensiero battezzato dalla banalità. La mediocrità lascia il tempo che trova, siam bravi tutti a scrivere ti amo sulla sabbia, e ciò che ne resta, è il nulla aiutato dall’onda che cancella.
Occorre invece che l’atto poetico lasci sulla pelle un profumo nuovo che alle mie narici mai prima sia giunto. Occorre che il linguaggio stupisca, mi inebri e lasci interdetto, mi scuoti e narri qualcosa di nuovo. Improvvisarsi è per i dilettanti, chi ignora il prezzo reale dell’essere poeta. Bisogna prendere confidenza con le parole, arricchirsi, rubare altrove, ed essere in dialogo col dentro ed il fuori per poi restituirlo all’altro. Scavarsi dentro, rimodellare la forma, è quest’azione non da poco, non da tutti.
- LTeM: Perché, secondo te, la poesia è così poco seguita? E’ questione di difficoltà della materia stessa, o c’è disinteresse generale che origina da altro?
Elisabetta: La poesia non la si può spiegare, la si deve ascoltare. E quando dico ascoltare, intendo non con le orecchie. Questo richiede uno sforzo maggiore secondo me. Se leggo un genere della narrativa scritto in prosa, probabilmente ti porto per mano in un contesto, un’ambientazione, i personaggi, la trama; con la poesia ti porto vicino a “me”, il resto lo fai tu.
- LTeM: Quanto ami le tue poesie?
Elisabetta: Ai miei versi dono la mia riconoscenza, non l’innamoramento.
- LTeM: Chi sono i tuoi autori (poeti e non) preferiti?
Elisabetta: Alda Merini, Sylvia Plath, Maria Wisława Anna Szymborska, Nizar Qabbani, Vladimir Majakovskij, Mariangela Gualtieri, Patrizia Valduga, Rainer Maria Rilke, e ancora, e ancora…
- LTeM: Le tue creazioni traggono ispirazione dalle tue esperienze personali?
Elisabetta: L’esperienza della creazione avviene quando c’è chi/o cosa che chiama, e senza i perché/o come si è guidati a rispondere. La parola diventa strumento al servizio dell’esperienza e del sentire. Ciò che sento parte da me, parte da fuori, parte da una chiamata di un numero sconosciuto.
- LTeM: Perché Diavolo di sabbia? Ti sei ispirata al fenomeno meteorologico ‘dust devil’ oppure c’è dell’altro?
Elisabetta: La scelta del titolo per la mia seconda raccolta di versi editi, prende proprio in considerazione il fenomeno che ha talvolta vita in tipiche zone desertiche, fra le vallate più secche del Tibet. Con “Diavolo di sabbia”, la raccolta vuole essere proprio come una tromba d’aria in miniatura, ogni verso uno scossone che senza preavviso, senza nubi ad anticiparlo, smuove il lettore inaspettatamente travolgendolo in questo mulinello d’aria dal sapore agrodolce, fino a dissolversi nella memoria.