
Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per poter parlare di questo libro senza portarmi dietro l’angoscia che ho provato mentre ne sfogliavo le pagine e mi chiedevo quanto orrore e quanto male avrei potuto ancora sopportare.
Volevo leggerlo appena uscito, ma per un motivo o per un altro (o forse solo per inconscio senso di autoprotezione) ho sempre rimandato.
Poi, è arrivato il suo momento e posso dirvelo: ho amato “La città dei vivi”, ma l’ho anche odiato profondamente.
Come è possibile, direte voi?
E’ semplice: l’Autore, pur raccontando un terribile fatto di cronaca, è riuscito a mettere il lettore in una posizione assai scomoda.
C’è l’istinto che di fronte ad una vicenda simile dovrebbe portare tutti alla medesima conclusione, poi ci sono i “ma”, e posso dire di averne trovati parecchi.
Ed insieme ai “ma” sono arrivate un miliardo di domande alle quali ancora adesso faccio fatica a rispondere.
Chi siamo noi per ergerci a giudici?
Quanto può essere utile cavalcare il sensazionalismo della vicenda per comprendere?
E’ davvero etico piangere (solo) per la vittima senza nemmeno provare ad ascoltare i carnefici?
E l’ultima, terrificante: è possibile che due ragazzi, apparentemente normali, abbiano compiuto un gesto tanto aberrante?
Eppure, è successo.
Manuel Foffo e Marco Prato da una parte, Luca Varani dall’altra.
Un viaggio nel profondo delle loro vite, un viaggio nella “banalità del male”, come molti lo hanno definito.
Testimonianze, estratti degli interrogatori, tutto porta a confondere le idee al lettore.
Se da una parte un ragazzo è stato ucciso senza un motivo, solo perché due persone lo avevano deciso, dall’altra siamo obbligati a fermarci e ad ascoltare fino in fondo quello che queste due persone hanno da dire.
No, la mia idea alla fine non è cambiata, ma Lagioia mi ha portato a riflettere e farlo su queste vicende è sempre scomodo.
Ho letto di una Roma all’apice della rovina, una città con un potenziale incredibile, rovinata e inaffrontabile.
Topi, gabbiani e rifiuti.
L’autore stesso racconta di aver avuto un bisogno fisico di allontanarsi da un posto tanto bello, eppure tanto sofferente.
Ma è dovuto tornare, perché ha visto in Roma quella speranza che forse tanti di noi non riescono a percepire malgrado le mancanze, malgrado il fallimento.
Per leggere questo libro bisogna essere psicologicamente predisposti, ma se avete voglia di affrontarlo, sono sicura che non ve ne pentirete.
Nonostante il fastidio.
Nonostante l’angoscia.
Nonostante il dolore.

Descrizione ❧ «Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell’incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. Preghiamo di non incontrare sulla nostra strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?». Le parole di Nicola Lagioia ci portano dentro il caso di cronaca più efferato degli ultimi anni. Un viaggio per le strade buie della città eterna, un’indagine sulla natura umana, sulla responsabilità e la colpa, sull’istinto di sopraffazione e il libero arbitrio. Su chi siamo, o chi potevamo diventare.